giovedì 24 gennaio 2019

Aviatore - Renzo Zenobi (1983)

E parlando di artisti poco capiti o più semplicemente come si è soliti dire "sfortunati" mi piace ricordare e riproporvi Renzo Zenobi. Ennio Melis che al tempo, si era nei primi anni ottanta, ricopriva il ruolo di megadirettore galattico nella importantissima etichetta discografica RCA Italiana provò in tutti i modi a farlo emergere ma non ci fu proprio niente da fare. Eppure Zenobi ha al suo attivo almeno due splendidi album che meriterebbero di essere riscoperti.
In quegli anni lavoravo in una importante radio del centro Italia e in una delle prime tv, anzi la prima che utilizzava i videoclip e ricordo in particolare una canzone che vi voglio riproporre.

lunedì 21 gennaio 2019

Te lo leggo negli occhi - Franco Battiato (1999)

Una canzone degli anni sessanta di un cantante messo in archivio troppo presto: Dino.
L'avevano scritta due geni come Sergio Endrigo e Sergio Bardotti e partecipava ad uno dei tanti Festival italiani che dopo il successo di Sanremo proliferavano lungo tutto lo stivale:
Il Festival delle rose. Un grande artista e musicista come Franco Battiato decise nel 1999 di ripescarla per inserirla in un suo album. Il risultato è emozionante perchè la canzone è bella ma anche perchè negli anni sessanta è rimasto il cuore di tanti italiani che amano ripensarli come un periodo felice.
Non so se lo era davvero. Io li ricordo quegli anni perchè li ho vissuti anche se ero bimbo.
Non credo che tanti di noi oggi farebbero a meno di tutte quelle cazzate che ci hanno fatto credere indispensabili: Internet, cellulari, computers e poi Suv, Suv e ancora Suv come se dovessimo tutti abitare sui monti e raggiungere luoghi inaccessibili. Rivorreste Canzonissima e Rita Pavone ma spostarvi in città con una seicento grigio topo ?

sabato 19 gennaio 2019

Piero Ciampi...l'italiano

Piero Ciampi, una persona troppo unica per poter piacere a tanti.
Era questo il limite e insieme la grandezza di questo artista, letteralmente venerato da molti suoi illustri colleghi, Gino Paoli su tutti, eppure così predestinato al fallimento quanto alla autodistruzione messa in essere nel caso di Ciampi attraverso l'alcol che se lo è divorato una cellula per volta, alla velocità stessa con cui Ciampi creava e disperdeva nel nulla molti dei suoi versi.
Sì, perché Piero, che intervistai nel 1977 per una radio locale, era prima di tutto un poeta. Più vicino ai barboni che ai manager discografici. Anche a quelli che in lui credettero fortemente come il mio amico Ennio Melis, che lo volle mettere sotto contratto alla RCA Italiana, la casa discografica più importante di una fortunata stagione musicale. quella dei De Gregori, dei Venditti dei Dalla.
Ancor prima aveva militato nella altrettanto prestigiosa CGD tramite il suo compagno di militare Reverberi che proprio in quegli anni stava legando il proprio nome alle più importanti produzioni discografiche di autori come Gaber, Paoli, Bindi.
Ma appunto, Piero Ciampi era una persona troppo unica per poter piacere a tanti e preferì espatriare a Parigi dove, già al limite di quella "società perbene" che passeggia nelle sue strade, compra nei suoi negozi e infesta i suoi locali Piero vagava, accompagnandosi con la chitarra nelle bettole più infrequentabili della capitale francese.
Lo chiamavano Piero l'italiano.
E proprio in quelle bettole, Piero mi raccontò nell'intervista, conobbe il grande J.P. Sartre che pare avesse un debole per quel menestrello triste. E un debole per lui lo avevano anche molti dei nostri artisti più famosi, tanto che alcune composizioni di Ciampi furono interpretate in tutti i tempi da gente come Dalida, Milly, Zero, Nada, Gigliola Cinquetti.
Un caso? Pare difficile.
Piero aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che però al pubblico faceva paura. Era vero, come lo erano le sue canzoni. Era genuino, come lo era il vino di cui faceva un uso smodato. Tanto che molte delle sue esibizioni in pubblico sono avvenute in stato di evidente ubriachezza, come quando Amilcare Rambaldi lo volle a un premio Tenco. O come quando Melis gli procurò uno special televisivo, praticamente mai andato in onda visto lo stato nel quale Ciampi si presentò alla registrazione. E Ciampi era strafatto di vino anche quando lo avvicinai io, dopo un suo spettacolo, al quale assistettero malamente non più di venticinque spettatori, durante una di quelle oceaniche Feste dell'Unità che si facevano una volta.
Ma Ciampi era esattamente questo. Uno che sapeva amare, ma non amarsi. Uno che, pur provenendo da una famiglia livornese tutto sommato ricca, decise di vivere la sua vita nei piano terra (praticamente nei garage) delle città italiane dove si produceva musica: Milano prima, Roma poi.
Uno che probabilmente della vita aveva capito tutto troppo presto.
Talmente presto che a 46 anni non aveva più nulla da imparare e ci ha lasciato.
Già ma cosa ci ha lasciato ? Sarebbe riduttivo rispondere un centinaio di canzoni-capolavoro incise su cinque LP, tutti commercialmente fallimentari. Ciampi ci ha lasciato molto di più.
Molto di più dei tre o quattro libri di poesie pubblicati postumi attraverso il recupero di molti dei suoi versi che amava abbandonare nei luoghi più improponibili, dopo averli scritti su foglietti occasionali.
Molto di più. Ci ha lasciato un sogno. Il suo. Quello di un uomo che amava vivere tentando di comunicare con gli altri rimanendo se stesso. Quello di una persona non omologabile. Quello insomma di un essere umano veramente libero. Come solo gli Anarchici veri sanno essere. Ecco, se lo pensiamo così Piero Ciampi è stato un uomo di enorme successo. Il più grande di tutti.

martedì 15 gennaio 2019

Fanigliulo...il mio compagno di viaggio


Siamo tutti compagni di viaggio, ma quello di cui vorrei parlarvi quest’oggi lo fu davvero in tutti i sensi. Mi perdonerete quindi se scriverò anche di Franco Fanigliulo a modo mio, ovvero evitando di snocciolare le tante cose che ha fatto, ma unicamente attraverso i miei ricordi.
Mi fu compagno durante l’adolescenza quando, più grande di me di diversi anni, mi affascinava per il suo modo di vivere e di far sognare chi riusciva ad abbandonarsi ai suoi racconti. Lo fu poi, quando lui già affermato, io ormai adulto, condividemmo per molte domeniche uno scomodo vagone ferroviario che da Roma ci riportava nella nostra città.
E allora ricordo una estate degli anni Settanta, forse quella del 1975.  Ricordo una collina dalla quale si poteva vedere tutta La Spezia e un gruppo di ragazzi con la chitarra. Giovanni, che sembrava John Lennon , Gianluigi che aveva ancora tutti i capelli, Gabriele che imitava l’idolo del momento che era Bennato e poi Claudio, Giorgia, Concetta, Paolo e altri di cui non so il nome.  E poi c’era lui Franco come lo chiamavamo, Gianfranco all’anagrafe.
Ricordo una ragazza tristissima che ci portavamo dietro nella speranza di farle dimenticare un amore finito male e Franco quattordici anni più di me che ad un certo punto comincia ad accompagnarsi con la chitarra, che non era la sua, e a raccontarle, in quel modo che solo lui sapeva fare, una strampalata favoletta, nella quale convivevano splendidamente tra loro cavalli alati e piccoli nanetti tutti con gli occhi azzurri che lavoravano come maschere nei molti cinema della città. La ragazza rideva divertita. Per un momento si era lasciata alle spalle l’angoscia per quell’amore evaporato con il caldo dell’estate. Noi ci guardavamo compiaciuti e ironici pronti a dire a Franco cosa si fosse fumato per inanellare così, una dietro l’altra, tutta quella serie di favolose stronzate senza né capo né coda. Seppi solo molto tempo dopo, che scrivere favole era uno dei suoi sogni segreti. Probabilmente mai realizzato. O forse sì. Del resto cosa sono molte delle canzoni di Fanigliulo se non favole imprevedibili? Una su tutte, quella che lo rese famoso, anche se purtroppo per  poco tempo.
Si chiamava “A me mi piace vivere alla grande” con la quale partecipò al Festival di Sanremo. La ricordo bene quella serata. Era il 1979. Eravamo tutti fuori dal Bar Roma, nonostante il freddo pungente di gennaio. Franco apparve annunciato da Annamaria Rizzoli e il Bar improvvisamente si ammutolì, per poi subito ospitare uno dei soliti commenti ahimè tipicamente spezzini stile “mialo lì ma dove i crede d’andae”.
Perché purtroppo Spezia è così: Qui, se riesci a sfondare sei un genio anche se litighi vistosamente con l’italiano, se invece non ce la fai “tei un povero semo ca sa credea d’arrivae chissa dove e i deva tornae a lavorae” .
E così continuiamo a celebrare concittadini illustri, cui frequentare un po’ di più la scuola invece che il partito non avrebbe potuto che giovare e continuiamo a dimenticarci di chi, magari proprio come Fanigliulo, era un genio e avrebbe meritato ben altra carriera. Ma forse, chissà, è così ovunque. Fa parte della insostenibile leggerezza dell’essere, tanto per citare un film proprio di quegli anni.
Franco comunque visse mesi e mesi come una rockstar. La sua canzone era tra le più suonate nelle radio e non era difficile vederlo alla TV, con quel suo fare istrionico un po’ da clown serio cantarla in molte trasmissioni di successo. Poi, come in una favola senza il lieto fine, di quelle cioè che probabilmente a lui non sarebbe mai piaciuto scrivere, il sogno finì.  La canzone venne consegnata agli archivi e non è difficile ritrovarla in qualche compilation di successi sanremesi, perché tale fu, ma di Franco non si seppe più nulla. Un paio di album bellissimi quanto sfortunati, nuovi idoli che si affacciavano all’orizzonte. Spezia sempre più lì, pronta a divorarlo, con la sua disincantata routine, invece che a sorreggerlo.
Lavoravo in una radio importante quando lo ritrovai. Accadde una domenica sera, quando rientravo a casa dopo una settimana di lavoro.  Era il 1983 e già da due anni me ne ero andato dalla mia città per poter vivere facendo ciò che più volevo: parlare al microfono, raccontare storie, tra un disco e l’altro. Ero stanco e un po’ contrariato. Mi avevano “appioppato” un programma sportivo domenicale.
Allora, al contrario di oggi, il calcio mi piaceva. Quel che mi appassionava meno era però dover trascorrere tutte le domeniche chiuso in uno studio da ottobre a maggio e ancora meno non poter rientrare a casa il venerdì sera. Tuttavia mi avevano concesso libero il lunedì (come i barbieri) e due volte al mese anche il martedì. E così, appena data l’ultima classifica e salutato tutti con la pubblicità di una nota marca di autovetture, trovavo fuori un’auto che mi portava alla stazione dove, se ero fortunato e non era in ritardo, un treno dove a volte faceva troppo caldo, e altre si gelava, mi riportava a casa. Tante ore di viaggio sino a che appunto una domenica a Firenze salì lui. Aveva un cappellone a larghe falde e all’inizio non lo riconobbi neppure. Poi presi coraggio e gli chiesi “Ma sei Franco?”.
Nacque così la seconda parte della nostra frequentazione e amicizia. Questa volta da parte mia più consapevole, perché vissuta ormai fuori dall’adolescenza, in quella fase dell’esistenza umana dove anche quattordici anni di differenza non pesano più di tanto. Mi disse che tutte le domeniche andava a Firenze. Credo avesse là una compagna. Da Pisa in poi, il treno diventava un locale (oggi non esistono più neanche questi) e quindi diventava un’agonia ferroviaria che per lui terminava alla stazione di Vezzano dove in quel periodo abitava. Una sera ricordo che mi invitò e scesi anch’io in quella stazione piccolissima. Casa sua era poco distante. Una casa rurale, vera, genuina come lo era Franco. Passammo la serata, si era già in primavera avanzata a rincorrere i conigli, che gli erano scappati dalla conigliera. Tra moccoli e sghignazzi.
Franco era anche questo. Una persona perbene. Tanto istrionico e irraggiungibile quando ti raccontava le cose che aveva creato, quanto diretto e semplice quando te lo ritrovavi davanti con i problemi di tutti i giorni. La macchina che non parte, il bancomat che ti frega la scheda, i conigli che scappano.
Confidava molto in ciò che stava facendo. Zucchero e Vasco so che lo adoravano. Da poco era uscito un suo Q-disc per la Numero 1, l'etichetta discografica di Battisti e credo che presto o tardi sarebbe diventato lui un numero uno, proprio esattamente rimanendo se stesso. Quel ragazzo che improvvisava favole, quel cantautore che recitava le sue canzoni. La vita, o la morte, che poi sono le due facce della solita medaglia non glielo hanno concesso. Morì esattamente lo stesso giorno in cui, dieci anni prima, era salito sul palcoscenico del Festival.
Questa volta “mialo lì ma dove i crede d’andae” glielo disse la triste signora vestita di nero.
Credo che Franco le avrebbe risposto “A te cognosso…tei sempre chi a rompe e bale”.
Domani...Una splendida canzone del mio amico Franco......Ciao.....

lunedì 14 gennaio 2019

Il Mirteto - Gocce di memoria - Giorgia (2003)


LUIGI BALLOTTA                    Dal "Mirteto" di Massimo Baldino
di anni 57            
vulgo Gigion                                                  (Lo trovi qui)
Non riuscii mai a dimenticarla.
Non riuscii mai a superare l’attimo in cui lei mi disse addio.
Improvvisamente la luce nella mia mente si spense
e io rimasi prigioniero delle mie ossessioni.
Cominciai a bere sempre più,
bazzicando le peggiori osterie del paese.
Presto anche il lavoro
se ne andò e mi ritrovai triste, povero
e sempre più maledettamente solo.
Mi ritrovarono,
in una rigida mattina d’inverno,
stecchito, disteso su una panchina 
della piazza principale del paese.
Dicono che stringessi
una ciocca di capelli di lei
nella mia mano
e che con quella mi abbiano seppellito.
Ma penso che queste siano tutte sciocche dicerie.
Io non sono mai stato così romantico e appassionato.
Per tutti ero semplicemente
Gigion l’ex imbianchino”. 

domenica 13 gennaio 2019

Cento giorni - Caterina Caselli (1966)

"Cento giorni, cento ore
O forse cento minuti
Mi darai
Una vita, cento vite
La mia vita
In cambio avrai"
...e chi se la dimentica...ci sono canzoni che penetrano nella nostra anima e finiscono per divenire una parte di noi. Cento giorni è una di queste !

Desperado - Eagles (1973)

Desperado, non stai diventando più giovane
Il tuo dolore e la tua fame
ti stanno portando a casa
E la libertà, la libertà
allora è soltanto qualcosa di cui la gente parla
La tua prigione è camminare attraverso questo mondo da solo

sabato 12 gennaio 2019

MAX BALDINO CERCA...LAURA PAUSINI (2004)

Era il 2004 il programma si chiamava "Il Coccogatto" , non chiedetemi perchè...e ad un certo punto, tra un ospite e l'altro e uno scherzo telefonico e l'altro si accese lalampadina e iniziammo a cercare sugli elenchi telefonici i cognomi di artisti famosi "disturbando" evidentemente molte persone che con Gianni Morandi, Vasco Rossi e come in questo caso Laura Pausini non avevano proprio nulla a che spartire....Era il 2004...e noi al Coccogatto ci divertivamo così....

La cura - Franco Battiato (1996)

"Ti proteggerò dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai"
Perchè siamo tutti così vulnerabili.........

Still Loving You - Scorpions (1984)

Avete mai sentito parlare del "graffio dell'anima" ?
"Se solo potessimo ricominciare
Tutto dall'inizio
Proverei a cambiare
Le cose che hanno ucciso il nostro amore"

giovedì 10 gennaio 2019

Ecco Barzizza: l'Italiano che trasformò in sogni gli incubi degli italiani

Immagini sbiadite, un montaggio veloce, come un videoclip, immagini care perchè estramente lontane, quasi provenienti da un altro mondo.
E' la storia di un uomo. Grande, importante. Uno che è riuscito a segnare con il suo passaggio tra noi la storia del costume italiano attraverso le canzonette.
Perchè non è vero come diceva provocatoriamente Bennato che "sono solo canzonette".
Dentro di loro c'è molto di più.
Ci sono dolori, lacrime di gioia, passioni umane e politiche. C'è un mondo appunto, che di quelle canzoni si è cibato. Che le ha fatte sue sino a fondersi con loro.
E allora come non è possibile scindere Vivaldi o Wagner dal loro tempo che li ha resi eterni, non si può capire gli anni trenta e quaranta senza conoscere Pippo Barzizza.
Con la sua orchestra Blue Star prima, con quella dell'EIAR (progenitrice della attuale RAI) poi ha accompagnato gli italiani attraverso gli anni ruggenti, la trasformazione di una Italia rurale in potenza industriale sino al disastro della seconda guerra mondiale, sino al periodo della ricostruzione
Come per tutti i miti, gli italiani individuarono un suo antagonista in Cinico Angelini, l'altra orchestra della radio, falsando il racconto storico che li vedeva in realtà colleghi, se non amici non certo rivali.
Le due orchestre giravano l'Italia, alcune volte anche insieme, in spettacoli organizzati dalla radio che proponeva nei teatri dello stivale quelli che erano i primi divi della canzone: Rabagliati, Bonino, Carboni, Boccaccini, nonni nobili dei nostri Ramazzotti, Pausini, Rossi o Ligabue.
Figli di epoche e mondi diversi ma tutti discendenti da una unica madre: La Canzonetta, che appunto prima di Barzizza e di alcuni altri non c'era.
Esisteva la lirica, la romanza, l'operetta; esisteva la canzone napoletana, ma la canzonetta intesa come oggi la concepiamo no. Brani come Bombolo, Pippo non lo sa, Il pinguino innamorato, Baciami piccina, Tuli tulipan, ma ancor più gli arrangiamenti di queste canzoni fecero si che la gente imparasse a conoscerle e assimilarle sino a sentire l'intima necessità di acquistarne il disco. E non erano tempi in cui il denaro si sprecasse.
Nasceva l'industria discografica italiana che poi, negli anni sessanta, avrebbe conosciuto il suo boom con l'avvento del 45 giri.
Nel documentario, rigorosamente muto come lo era il cinema quando Barzizza iniziò, compaiono in rapida sequenza vari spezzoni tratti dalla cinecollezione di famiglia. Il maestro infatti era un grande appassionato di fotografia e si dotò quasi subito di una delle allora costosissime cineprese con la quale filmò molti dei momenti importanti della sua vita. La nascita e l'infanzia dei suoi adorati figli Isa (poi attrice) e Renzo, il matrimonio con la amatissima Tatina Salesi, anch'essa musicista, oltre ad alcune tappe fondamentali della sua lunghissima carriera.
Trenta minuti di affascinante "Bianco e nero" , tranne che per alcune sequenze finali, nelle quali sarà possibile anche ascoltare la voce del grande e amato Maestro Barzizza che ci dice a suo modo:
"E' stato un piacere, arrivederci"...come per ogni mortale che passando di qui sia riuscito a fare qualcosa di importante per gli altri... farci vivere un sogno anche quando la vita degli italiani stava diventando un incubo.

sabato 5 gennaio 2019

Gli anni - 883 (1996)

Gli 883, perchè adoro questa canzone che mi ricorda una grande avventura lavorativa.
Max Pezzali è una persona fantastica, quando venne a trovarmi in radio per una intervista fu un bel momento di cui serbo uno splendido ricordo. Era timidissimo.
Eravamo nel 1999 e stava promuovendo il suo album ove c'era anche una canzone che ricordo con altrettanto affetto:Le luci di Natale.
Facemmo una lunga intervista e ricordo che venne persino malamente redarguito dall'editore che piombò, come era solito fare in studio malamente per fargli presente che , poveretto, aveva sbagliato, lui che era l'ospite, a declamare lo slogan della emittente.
Diventò tutto rosso, povero Max, non sapeva cosa dire e dovetti intervenire io per sdrammatizzare l'accaduto.
W gli editori radiofonici...sempre gentili e opportuni !!! 

One - U2 (1991)

"Va meglio o ti senti come prima?
Sarà più facile per te, ora che hai qualcuno da incolpare
Tu dici un solo amore, un’unica vita,
allorché è solo un bisogno di notte"

Magari - Renato Zero (2003)

Questa è una di quelle canzoni che o la ami o la odi...Io la adoro.

Everybody Hurts - R.E.M. (1992)


Un brano che mi porta via lontano...
"Quando il giorno è lungo e la notte, la notte è solo tua,
Quando sei sicuro di averne avuto abbastanza di questa vita, beh resisti
Non lasciarti andare, perché tutti piangono e tutti soffrono a volte.
A volte tutto è sbagliato.
Ora è tempo di cantare insieme
Quando il tuo giorno è soltanto notte (resisti, resisti)"

Come nelle favole - Vasco Rossi (2017)

Che bella...mi ricorda qualcosa e...qualcuno....
"Sai io ho pensato sempre quasi continuamente
Che non sei mai stata mia me lo ricordo sempre
Che non è successo niente dovevi sempre andar via"
Ci sono quelle persone che sarebbero potute essere...ma che non sono state.
Eppure ...ci avresti messo la mano sul fuoco.
Il problema è che non c'erano mai.
Forse non esistevano o non sono mai esistite.

venerdì 4 gennaio 2019

Signora La Vacca cercasi urgentemente (2004)

Scherzetto o dolcetto ?
Dopo tante canzoni....un po' di radio vera.
2004 Scherzaccio telefonico assolutamente improvvisato.
Il tecnico prendeva un numero a caso dagli elenchi nazionali (giusto per non spendere troppo)
e io mi ritrovavo a parlare con un perfetto sconosciuto, dovendomi inventare assolutamente qualcosa
per impedire all'interlocutore di scocciarsi e buttarmi il telefono in faccia.
Si andava rigorosamente in diretta e quindi qualche "parolaccia" poteva scapparci,
cosa che rendeva la trasmissione poco amata dagli editori.
Per fortuna, ho imparato conducendo questo programma che gli italiani sono davvero nella
maggioranza dei casi "brava gente".
Un caro saluto al tecnico e amico Andrea Secci bravissimo a...pescare a caso da gli elenchi italiani.
E bravo anche ad avere salvato gran parte degli scherzi che abbiamo fatto.

Vendo casa - Dik Dik (1971)

Ragnatele di vita, 
abbandono fatto di niente. 
Un punto lontano che sta su una parete. 
Un cielo cupo che si addensa sul soffitto. 
Una poltrona piena di briciole 
che ha ormai le forme del mio corpo. 
Fuori un vecchio cartello che è lì da nove anni. 
Dice qualcosa che più io non ricordo. 
Come ho smarrito il senso del perché io sia qui.
Quando un grande amore finisce...
Uno dei due va a fondo....
Splendida canzone di Battisti per gli indimenticabili Dik Dik
Estate 1971

giovedì 3 gennaio 2019

Milva, una diva normale

Ho rivisto l'intervista di Giletti con la quale Milva nel 2010 dava l'addio alle scene.
Uno dei tanti momenti-salotto in televisione, con Giletti forse un po' troppo invadente nel quale traspare comunque il grande carattere di questa "diva buona" dello spettacolo italiano. vedi qui
Buona perchè il vero segreto di Milva fu quello di fare tutto estremamente sul serio, compreso il suo ruolo di diva, pur senza esserlo o ritenersi tale.
Penso sia inutile dire qui quanto questa artista sia stata immensa.
Capace di fare qualsiasi cosa: teatro, radio, canzone nobile e canzonetta.
Tutto appunto, grazie all'enorme personalità di cui era dotata.
Mi manca Milva e credo manchi a molti. Manca alla TV nei grandi show del sabato sera (peraltro ormai defunti da tempo). Manca alla radio dove oltre ad essere una brava conduttrice: epica fu la sua intervista a Francesca Bertini, riusciva a dispetto delle epoche e delle mode a essere presente nelle playlist musicali con molte delle sue canzoni come la splendida Alexander Platz di Battiato o la crepuscolare La Rossa scritta per lei da Jannacci.
Di più. Riusci persino a farsi largo con coraggiose incursioni nel mondo della disco commerciale. Ricordo bene negli anni ottanta quanto veniva programmata la sua spericolata Marinero.
Milva nacque nelle balere, come ricorda lei stessa nell'intervista sopra linkata e incise i suoi primi dischi per la storica etichetta di Stato Cetra addirittura con il Maestro Angelini. Un monumento della canzone. Tuttavia fu il Festival di Sanremo a consacrarla e a Sanremo volle tornare quando ormai già "diva affermata" oltre che donna matura accettò di interpretare teatralmente una sin troppo trascurata canzone intitolata "Uomini addosso".
Un brano orecchiabile eppure estremamente difficile da sceneggiare su un palcoscenico come quello dell'Ariston.
Immaginate una canzone come questa interpretata da qualcun'altra ? A me risulta estremaente difficile. Peraltro ricordo di avere assistito alle prove di quel brano. E ricordo il clima che si respirava in teatro. Qualcuno degli addetti ai lavori (ed era qualcuno che contava parecchio) faceva passare l'idea in sala stampa di una Milva distante e antipatica. Io ebbi solo l'impressione di una grandissima artista dietro la quale si nascondeva un essere umano fondamentalmente timido. Magari mi sbagliavo. In ogni caso un grande momento di televisione che vi ripropongo molto volentieri.
 

La forza della vita - Paolo Vallesi (1992)

Paolo l'ho conosciuto negli anni novanta.
Eravamo andati ad intervistarlo, io le mia collega Sandra, nella sua casa di Firenze per una radio del Sud America che ci aveva commissionato il servizio.
Una bella persona. Semplice e genuina.
E autore di un paio di canzoni a mio avviso storiche e importanti per la musica italiana come questa.

Un buco nel cuore - Riccardo Cocciante (1982)

Sono morto tante volte e tante volte sono risorto
Ogni volta con qualcosa di meno. Come depredato di qualche parte di me da questo nemico invisibile che si chiama vita.
Ciò è servito a migliorarmi ?
Non credo. Forse a rendermi più forte, più cinico, più strafotente. Ma migliore rispetto al bambino che ero non credo. 
Quel bimbo che non voleva mai gettare via  l' orso di peluche neppure se era distrutto. 
Ormai più senza un occhio perduto in qualche storica battaglia combattuta nella mia immaginazione,  con una cucitura saltata che faceva fuoriuscire tutta la gomma piuma che si disseminava per casa.
Era il mio amico, pensavo. 
Mi aveva fatto divertire per pomeriggi interi non facendomi sentire solo. 
Ora era lui ad aver bisogno di me. Come avrei potuto liberarmene. Facendolo morire da solo in una discarica ? 
Dove è finito oggi quel bambino ?
È scomparso. Depredato giorno dopo giorno di qualche parte importante.
Smontato, pezzo dopo pezzo, affinchè ogni ruga possa raccontare una delusione, un abbandono, una mortale, eppure non mortale sofferenza.
Dimenticato più volte, come un pacco per il mondo, da troppe persone che, povere loro, evidentemente non avevano mai avuto e amato nella loro vita un orso di pezza.
Che importanza avrebbe oggi fare i loro nomi. 
Dire chi si è portato via di me il pezzo più grande. Dove se ne è andato il cuore. 
Se da Francesca. Luca, Michela o Giovanna. Ognuno ha giocato. Credendo a ragione che tanto si sopravvive. Ed è vero. Io ne sono la dimostrazione. Ma come ? 
Rinforzandosi o impoverendosi ?
L'abbandono in amore è la prova peggiore alla quale siamo chiamati.
Succede ogni giorno, lo so bene.
Ma quello che non so e non saprò mai è se anche agli altri ha prodotto gli stessi danni che io ho ritrovato nella mia anima.
Alla morte in fondo ci si rassegna, perché è qualcosa di ineluttabile. 
Ti lascia un vuoto enorme che puoi rimpire con tutte le cose belle che una persona o un animale ti ha lasciato. I ricordi sono importanti e perpètrano la vita.
Ma l'abbandono ? Sapere di non servire più. Di essere stato cancellato. Di avere ricevuto tanto amore e poi averlo perduto ?
Sapere che l'altra persona...si era sbagliata ? O peggio stancata ?

mercoledì 2 gennaio 2019

Non si perde nessuno - Riccardo Cocciante (1991)

"tu sei ancora parte di me
non lo neghero' mai
e nella vita vedrai
non si perde nessuno"
Ed è verissimo perchè tutto continua a viverci dentro e ogni persona importante non muore e non si allontana da noi se è nella nostra mente.

L'amore conta - Ligabue (2005)

"L'amore conta
Conosci un altro modo
Per fregar la morte?"
e forse proprio per questo conta sempre di più mano a mano che il traguardo si avvicina....

Cyrano - Francesco Guccini (1996)

Se avessi il genio di Francesco...l'avrei scritta io questa immaginando una Rossana in grado di capirla. In questo brano infatti c'è tutto. Le ragioni degli oppressi, i pregiudizi e le menzogne di una gran parte dell'umanità. Proprio in questo senso è il riferimento all'opera teatrale "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand, in cui il protagonista è in lotta con i pregiudizi e con la cattiveria della gente per la sua presenza estetica non eccelsa. Nonostante tutto, l'amore per Rossana saprà vincere la sua apparente durezza e scontrosità data proprio dalle continue infamie.
"Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto."



Se ami sa - Laura Pausini (1996)

Triste & dolcissima.
Non stravedo per la Pausini, ma stravedo per questa canzone !!!

One and One - Edyta Górniak (1997)

..e il mio amico Alex non ci credeva in questa ragazza...quante litigate per questo brano...
Io invece nella voce di Editta, come scherzosamente la chiamavamo ho sempre creduto.
Splendida in questo brano di grande successo di Robert Miles.

La mia amica Grazia

E' triste pensare che tu non ci sei più.
Ti devo molto e forse tu neppure lo sai.
Ero appena arrivato in Toscana.
Anzi, quello per la verità era il mio primo ingaggio radiofonico.
1981 Radio Quattro...avevo poco più che vent'anni, non mi ero mai allontanato da casa ed ero timidissimo.
Grazia, lavorava in quella radio già da qualche tempo....e mi affiancarono a lei per farmi fare le ossa (una volta da parte dei radiofonici esisteva una professionalità e un culto dell'etere che forse ahime si è perso).
Grazia in meno di due settimane mi rese padrone della situazione, facendo esattamente tutto il contrario di quello che molti avrebbero fatto per ottenere lo scopo.
Cominciò a combinarmene di tutti i colori....dalla sparizione degli "spuntini" che noi vecchi radiofonici, costretti spesso a trascorrere le ore del pranzo in radio usavamo portarci...sino a raccontare in diretta tutti i fatti miei, costringendomi a buffe spiegazioni, sempre rigorosamente in diretta....per evitare di venir ritratto agli occhi degli ascoltatori come un inguaribile imbranato quale ero.
Eravamo il sollazzo deglia ascoltatori...e la disperazione degli editori....
Ci divisero presto...ma lei e solo lei...fece di me quello che poi per anni in radio ho amato essere...cioè "me stesso" e mi aiutò a inserirmi splendidamente in un ambiente nuovo
Un ambiente che amavo ma che mi metteva una soggezione incredibile...
Grazia per me non era solo una collega....era una sorella che mi sono portato appresso in tutte le cose che ho fatto...per oltre trent'anni.
Purtroppo è una strano mestiere questo...
Non c'è altro ambiente di lavoro ove le amicizie diventano profonde come quello della radio.
Facendo radio in fondo regaliamo ogni giorno un po' di noi, della nostra anima.
...e chiuso il microfono qualcosa di quella magia rimane...
Purtroppo però, spesso tutto finisce appena si cambia radio, si cambia regione, si va via.
Ritrovarsi è difficile...perchè se hai amato qualcuno quanto si ama un amico sincero è difficile poi accontentarsi di vederlo per pochi minuti ogni tanto...
Perchè noi delle radio si viveva praticamente insieme....e non ho difficoltà a dire che spesso mi trovavo più a  mio agio a confidarmi con alcuni miei colleghi che con i miei parenti più stretti.
Come fai poi a rivederli per pochi minuti.
Un grande amore non puoi rincontrarlo per pochi minuti....come si fa...
Ecco perchè non rivedevo Grazia da molti anni...Da quando me ne andai da Cuore.
Era il 2000 o il 2001 ...non ricordo.
Ma Grazia c'è sempre stata...come Maurizione Heynard, Franco Bolognesi, e suo fratello Remo...e tanti altri. Troppi...per non definire la vita...una voragine che inghiotte e digerisce ogni cosa.
Grazia sono convinto che oggi se ci potesse leggere....direbbe a tutti, con la sua aria un po' disincantata , che nascondeva invece il suo carattere romantico e sognatore, "Beh ragazzi basta, se continuate così...portate anche un po' sfiga !". Lo so. Mi diresti che sono scemo. Io ti direi che sei la solita donna acida. Poi giù con le risate. Mi manchi amica mia. Mi manchi tanto.
Te la ricordi questa canzone ? Era la canzone che ti ricordava sua vacanza a Ponza fatta negli anni ottanta...anche se la canzone era degli anni settanta.

martedì 1 gennaio 2019

Se telefonando - Mina (1966)

Un po' di "archeologia musicale" con uno di quei dischi che continuano a girare da quasi sessant'anni
forse perchè anche in ogni storia che finisce c è comunque qualcosa di magico e terribilmente unico.
E allora...eccovi Mina

Settembre - Luca Carboni (2003)

Questa è proprio tutta mia, perchè mi riporta all'infanzia.
Il periodo più bello della vita.
La 1100 di mio padre, una terrazza al settimo piano dove facevo
su e giù con una automobilina a pedali, le serate d'inverno passate
con la mia adorata nonnina che mi raccontava storie affascinanti.
Conobbi l'ottocento e la guerra vedendola con i miei occhi, attraverso
le sue parole.
Poi venne il 1966 e si portò via tutto. Improvvisamente.
Per quel bimbo nulla fu più come prima.
Capite perchè amo immensamente questa canzone ?
"ma poi perché di colpo tutto non è facile
Come i gol che facevo contro una porta di legno
e con le braccia alzate segnare gol...
E la mia mamma che chiama che è gia pronta la cena
ma voglio ancora giocare un po'!
E allora salvalo amore questo bambino che trema
che vuole tutto l'amore che c'è."

One moment in Time - Whitney Houston (1988)

Lavoravo in quella mitica emittente che fu Radio In.
Lei si chiamava Rossana ed abitava a Bologna. Chiamava la radio regolarmente ogni mattina, poco dopo l'alba e aveva una voce dolcissima. So che era molto malata ma trovava sempre il modo di augurarmi il buongiorno infondendomi l'allegria che serviva per trovare la voglia di ridere anche in quelle "levatacce". Poi un giorno non chiamò...e non lo fece più neppure nei giorni seguenti. Amava moltissimo questa canzone. Ciao Rossana eccoti la tua Whitney.
"Ogni giorno che vivo
voglio che sia
un’occasione
per dare il meglio di me.
Sono unica,
ma non sono sola,
i miei giorni migliori
non sono ancora conosciuti.
Mi alzo e cado
ma dopo tutto questo
rimane già tanto."

Ricordati di me - Antonello Venditti (1988)

"Ricordati di me, della mia pelle,
ricordati di te com'eri prima,
il tempo lentamente si consuma."
L'amore vero in fondo lascia sempre aperte le sue porte
"sarà quel che sarà
questa vita è solo un'autostrada
che mi porterà
alla fine di questa giornata"

Ci vorrebbe il mare - Marco Masini (1990)

“Ieri sera era amore,
io e te nella vita
fuggitivi e fuggiaschi
con un bacio e una bocca
come in un quadro astratto:
io e te innamorati
stupendamente accanto.
Io ti ho gemmato e l’ho detto:
ma questa mia emozione
si è spenta nelle parole”.
                   (A.Merini)

"Ci vorrebbe il mare per andarci a fondo,
ora che mi lasci come un pacco per il mondo"