sabato 19 gennaio 2019

Piero Ciampi...l'italiano

Piero Ciampi, una persona troppo unica per poter piacere a tanti.
Era questo il limite e insieme la grandezza di questo artista, letteralmente venerato da molti suoi illustri colleghi, Gino Paoli su tutti, eppure così predestinato al fallimento quanto alla autodistruzione messa in essere nel caso di Ciampi attraverso l'alcol che se lo è divorato una cellula per volta, alla velocità stessa con cui Ciampi creava e disperdeva nel nulla molti dei suoi versi.
Sì, perché Piero, che intervistai nel 1977 per una radio locale, era prima di tutto un poeta. Più vicino ai barboni che ai manager discografici. Anche a quelli che in lui credettero fortemente come il mio amico Ennio Melis, che lo volle mettere sotto contratto alla RCA Italiana, la casa discografica più importante di una fortunata stagione musicale. quella dei De Gregori, dei Venditti dei Dalla.
Ancor prima aveva militato nella altrettanto prestigiosa CGD tramite il suo compagno di militare Reverberi che proprio in quegli anni stava legando il proprio nome alle più importanti produzioni discografiche di autori come Gaber, Paoli, Bindi.
Ma appunto, Piero Ciampi era una persona troppo unica per poter piacere a tanti e preferì espatriare a Parigi dove, già al limite di quella "società perbene" che passeggia nelle sue strade, compra nei suoi negozi e infesta i suoi locali Piero vagava, accompagnandosi con la chitarra nelle bettole più infrequentabili della capitale francese.
Lo chiamavano Piero l'italiano.
E proprio in quelle bettole, Piero mi raccontò nell'intervista, conobbe il grande J.P. Sartre che pare avesse un debole per quel menestrello triste. E un debole per lui lo avevano anche molti dei nostri artisti più famosi, tanto che alcune composizioni di Ciampi furono interpretate in tutti i tempi da gente come Dalida, Milly, Zero, Nada, Gigliola Cinquetti.
Un caso? Pare difficile.
Piero aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che però al pubblico faceva paura. Era vero, come lo erano le sue canzoni. Era genuino, come lo era il vino di cui faceva un uso smodato. Tanto che molte delle sue esibizioni in pubblico sono avvenute in stato di evidente ubriachezza, come quando Amilcare Rambaldi lo volle a un premio Tenco. O come quando Melis gli procurò uno special televisivo, praticamente mai andato in onda visto lo stato nel quale Ciampi si presentò alla registrazione. E Ciampi era strafatto di vino anche quando lo avvicinai io, dopo un suo spettacolo, al quale assistettero malamente non più di venticinque spettatori, durante una di quelle oceaniche Feste dell'Unità che si facevano una volta.
Ma Ciampi era esattamente questo. Uno che sapeva amare, ma non amarsi. Uno che, pur provenendo da una famiglia livornese tutto sommato ricca, decise di vivere la sua vita nei piano terra (praticamente nei garage) delle città italiane dove si produceva musica: Milano prima, Roma poi.
Uno che probabilmente della vita aveva capito tutto troppo presto.
Talmente presto che a 46 anni non aveva più nulla da imparare e ci ha lasciato.
Già ma cosa ci ha lasciato ? Sarebbe riduttivo rispondere un centinaio di canzoni-capolavoro incise su cinque LP, tutti commercialmente fallimentari. Ciampi ci ha lasciato molto di più.
Molto di più dei tre o quattro libri di poesie pubblicati postumi attraverso il recupero di molti dei suoi versi che amava abbandonare nei luoghi più improponibili, dopo averli scritti su foglietti occasionali.
Molto di più. Ci ha lasciato un sogno. Il suo. Quello di un uomo che amava vivere tentando di comunicare con gli altri rimanendo se stesso. Quello di una persona non omologabile. Quello insomma di un essere umano veramente libero. Come solo gli Anarchici veri sanno essere. Ecco, se lo pensiamo così Piero Ciampi è stato un uomo di enorme successo. Il più grande di tutti.

1 commento:

  1. A me Ciampi piace perché si capisce la sua reale voglia di comunicare:musica e parole sintetizzano un ampio discorso.

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